A s s o c i a z i o n e F o r t u n a
Associazione per lo Studio, la Ricerca e l'Intervento in Psicologia Clinica, Psicoterapia Psicodinamica, Psicologia di Comunità, del Lavoro e delle Organizzazioni, e delle scienze affini
LA DEA FORTUNA
Fortuna è un’antica divinità italica, più tardi identificata con la greca Τύχη, il cui culto era praticato anche presso i Romani. Nella mitologia greca, Tiche o Tyche è la divinità tutelare della fortuna, della prosperità e del destino di una città o di uno Stato, che originariamente distribuiva gioia o dolore secondo il giusto.
Tiche era considerata una delle Oceanine, figlie del titano Oceano e della titanide Teti. In altre versioni è la figlia di Ermes ed Afrodite. Ignorata dalla tradizione omerica, Tiche è menzionata invece da Esiodo e la sua importanza crebbe in età ellenistica, tanto che le città avevano la loro specifica versione iconica della dea, che indossava una corona raffigurante le mura della città stessa. Ad Antiochia e ad Alessandria in particolare, viene venerata come Dea protettiva della città. Il suo culto è individuato a partire dalla seconda metà del V secolo a.c. Ad Antiochia, lo scultore Eutichide, realizza la famosa "Tiche" di Antiochia.Tiche appare su alcune monete dell'era pre-cristiana, soprattutto della regione dell'Egeo. Nel medioevo la si rappresenta con il corno dall'abbondanza, con un timone ("è lei che pilota la vita degli uomini") ora seduta, ora in piedi, il più delle volte è cieca. Venerata dai romani con il nome Fors Fortuna in un sacello sulla riva destra del Tevere, come Fortuna primigenia o pubblica le erano dedicate feste il 5 aprile e il 25 maggio, come Fortuna virilis l’11 giugno in un tempio al Foro Boario. Secondo la tradizione, sarebbe stato eretto un tempio alla Fortuna muliebris sulla Via Latina nel 487 a.C., quando Coriolano, persuaso dalla madre e dalla moglie, si ritirò dall’impresa contro Roma.
Molte altre furono le forme e gli epiteti della Fortuna per i Romani: Fortuna huiusce diei, la fortuna del momento, redux (per il ritiro di Augusto dalle province il 19 a.C.), dubia, stata (costante), averrunca (che allontana le sciagure), comes (che accompagna nel viaggio) ecc. Il culto della Fortuna fu celebre a Preneste e ad Anzio (qui, caratteristico, era quello delle due Fortune). A Preneste, presso il grande tempio della Fortuna primigenia, come testimonia Cicerone, la dea era rappresentata nell’atto di dare il latte a Giove e a Giunone bambini; il carattere di grande figura femminile e materna ben si accorderebbe con tale iconografia, sebbene testimonianze antiche la riferiscano anche figlia dello stesso Giove; la festa della dea ricorreva l’11 e il 12 aprile; essa dava vaticini (le sortes Praenestinae). Nei dipinti di Pompei è unita a Mercurio; suoi attributi erano il timone, il globo, la ruota, la cornucopia, talvolta il caduceo. Fortuna divenne quindi una figura della religione romana, la Dea del caso e del destino, con attributi in parte di Tiche in parte di Ananke, il cui corrispettivo romano era il Fatum, il Fato.
Era per i romani una Dea primigenia di nascita, vita e morte. Come Dea della nascita assisteva ai parti e faceva nascere le piante. Come Dea della crescita faceva crescere le piante e gli animali, nonché le persone assumendo il ruolo di medica, cioè guaritrice; come accrescitrice delle piante era Dea del raccolto, da cui la cornucopia. Come Dea della morte era Dea della guerra e della giustizia che punisce i reati, da cui l'elmo da battaglia. Determinando la vita e la morte era legata agli oracoli.L'introduzione del culto nella Roma antica è più probabilmente ascrivibile a Servio Tullio, il re che fu straordinariamente favorito dalla Fortuna, alla quale dedicò ben ventisei templi nella capitale, ciascuno con un'epiclesi diversa. Si narra che la Dea l'avesse amato, nonostante fosse un mortale e si introducesse nottetempo nella sua stanza attraverso una finestrella.
La Dea veniva designata come Grande Madre ed era preposta al fato e alle sorti, per cui nei suoi templi si prediceva il futuro. Il suo aspetto benevolo portava la buona sorte, e quello ostile la malasorte.
Nel culto della Dea si intrecciavano sia i motivi della fertilità, del destino e quindi dell'oracolo. Nel santuario prenestino il culto ufficiale alla Fortuna era gestito dai patres e dai sacerdoti virili, mentre quello femminile delle matres era legato alla fecondità e all'oracolo. Sempre a Preneste furono venerate in coincidenza Fortuna e Iside, spesso sovrapposte tra loro come avveniva anche a Roma.Le fonti antiche affermano che esistevano due statue della Dea Fortuna: una di bronzo dorato e una di marmo bianco, nella posa di allattare Giove bambino. Questo sottolinea il lato Primigenio della Dea, come antica Grande Madre da cui tutti gli Dei provengono.
Sulla più alta terrazza del tempio di Preneste, dove, secondo Cicerone, l’olivo avrebbe secreto miracolosamente del miele, si trovava la statua guerriera della Fortuna, posta ad un gradino più elevato di quella materna del santuario situato livello inferiore, quindi Dea della guerra e della morte.Dalla fine del terzo secolo a.c. sorse il culto di Stato della Fortuna Publica Populi Romani (La Buona Fortuna Ufficiale del Popolo Romano). Fu anche Dea del mare e protettrice dei naviganti per cui ebbe l'attributo del timone. C'era un suo tempio a Roma e nelle altre città che era situato fuori dalle mura, quale Dea protettrice dalle incursioni estranee.